Nella prassi facciamo un uso talmente intercambiabile dei due termini che non ci sfiora minimamente il sospetto della loro diversità e del loro diverso peso specifico nella costruzione di un progetto educativo. Non è di poco conto confondere “istruire” con “educare”. Il linguaggio determina il pensiero e l’uso inconscio di una certa terminologia non è mai senza conseguenze sulle scelte di campo che si vanno a compiere. Come ci suggerisce Vygotskij, “la coscienza si riflette nella parola come il sole in una piccolissima goccia d’acqua”. Nel nostro specifico – la formazione del futuro cittadino – appare quindi di fondamentale importanza andare alla radice dei due termini per acquisire la più ampia consapevolezza di quanto si va a costruire in campo educativo: per capire bene il rapporto esistente tra i due termini e il peso da mettere su ciascuno di essi, per raggiungere il miglior risultato possibile in tema di legislazione scolastica. “Il tema istruzione-educazione è uno dei luoghi fondamentali della discussione pedagogica contemporanea e rappresenta un passaggio ineludibile nella costruzione di una valida e coerente teoria della scuola” così Giuseppe Fallacara in una riflessione di qualche tempo fa, e cioè in tempi non sospetti, prima di qualsiasi impegno concreto di riforma della scuola, diversamente da come invece sono – con grande risonanza pubblicitaria – questi attuali.

La storia

Se osserviamo la storia del Ministero dell’Istruzione italiano ci rendiamo conto in modo chiaro e netto di quale sia stata l’”intenzione programmatica” che ha contraddistinto le direttrici di marcia istituzionali della scuola italiana – fin dalla sua nascita (Unità d’Italia, 1861). Occorreva prima di tutto realizzare una coscienza unitaria dei cittadini. Ma occorreva “istruire” le masse attraverso un’alfabetizzazione che non andasse più in là di un semplice addestramento al lavoro. Nel contempo non si tralasciava di creare dei percorsi educativi privilegiati con lo studio dei classici e con l’obiettivo di formare una ristrettissima classe dirigente. E’ alquanto significativo, per esempio, che lo studio della filosofia fosse un appannaggio esclusivo degli alunni dei licei, mentre era del tutto assente nei “programmi ministeriali” delle scuole tecniche. I cittadini del domani non dovevano essere educati al pensiero critico, acculturati ma non troppo, in modo di poter eseguire semplici procedure di cittadinanza. E così a partire dalla Legge Casati del 1859, attraverso i governi e le varie legislazioni che si avvicendano, il Ministero conserverà – nel nome (Ministero della Pubblica Istruzione) come nel contenuto – la sua mission istituzionale fino ai nostri giorni. Nessuna riforma (a partire dalla riforma Gentile per arrivare ai famosi Decreti Delegati del 1974, che apriranno la scuola – sulla scia degli articoli della Costituzione – alla partecipazione democratica dei cittadini), nessun governo né di destra né di sinistra, penserà mai minimamente di cambiare il nome del Ministero in “Ministero dell’educazione”. Nemmeno quella che si sta attuando oggi con la cosiddetta #BuonaScuola di Renzi, con tutti i suoi buoni propositi di innovazione radicale del sistema scuola. Siamo e rimarremo i soli nel mondo a vantare un “Ministero dell’Istruzione”.

L’art. 3 della Costituzione

La prima volta che si avverte un’eco dell’intenzione di intervenire in senso educativo sul piano istituzionale è con la nascita dei principi fondamentali della nostra carta costituzionale. L’art. 3 della Costituzione, nel delineare gli obiettivi della scuola statale, fa un chiaro riferimento al concetto di educazione (non di istruzione) quando afferma che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli (…) che “impediscono il pieno sviluppo della persona umana”. Il pieno sviluppo della persona umana si realizza, sul piano pedagogico, quando l’individuo tira fuori (ex-ducere) sia i suoi difetti per liberarsene, sia i suoi punti di forza per sfruttarli ai fini del suo miglioramento. Questo accenno dell’Art. 3 della Costituzione all’aspetto prettamente educativo poteva rappresentare lo spartiacque di due modi di pensare la scuola, se si fosse consolidato nella legislazione successiva. Ma non è stato così. Quella finestra aperta sull’educazione si chiuse subito dopo, quando gli art. 33 e 34 (Rapporti etico-sociali) ritornarono a parlare di istruzione. Segno evidente di una inconscia ambivalenza dei legislatori.

Mutamenti epocali

Il perseverare di questa ambivalenza inconsapevole oggi più che mai può fare dei grossi danni. Siamo in un momento di mutamenti epocali, in taluni casi di sconvolgimenti del nostro modo di vivere. La rivoluzione digitale sta modificando nel bene e nel male alla radice le nostre abitudini. In campo educativo oggi più che mai è di fondamentale importanza capire la direzione da prendere per evitare il baratro. Istruzione ed educazione vivono da “separati in casa” e accampano entrambe i loro diritti. Sembrerebbe che “istruire” l’individuo a colmare il “Digital Divide” e l’alunno ad appropriarsene fin dai suoi primi passi in campo scolastico (ambiente smart) sia diventato l’imperativo categorico del nostro tempo. Che tutti accedano a questa nuova alfabetizzazione di base è un must oltre che un diritto, non c’è dubbio. Come non c’è dubbio che informatizzare la scuola rappresenti un passo importante verso l’innovazione della didattica. L’implementazione di nuove modalità di apprendimento (oltre che di strumenti di compensazione in caso di difficoltà di apprendimento), la possibilità di imparare a risolvere problemi, l’acquisizione di abilità di cooperazione e collaborazione nel raggiungimento di obiettivi contribuiranno sicuramente a potenziare gli aspetti di efficienza ed efficacia che oggi si è chiamati a contemplare per essere all’altezza dei tempi, conferiranno abilità e competenze sofisticate – le cosiddette skills – in altre parole “il saper fare”. Ma esiste anche un’altra sfera della persona che reclama diritti ed è altrettanto importante del “saper fare”. E’ quella che aspira al “saper essere”, al “saper vivere”, senza la quale l’individuo moderno apparirà efficiente ma monco della sua più importante qualità, quella di essere umano e in quanto tale detentore del suo umanesimo, della capacità di riflettere e pensare in piena autonomia, cosa che solo l’educazione e non l’istruzione può dare. Mi viene in mente un commento di un amico a proposito della scomparsa della scrittura in corsivo tra gli adolescenti. “Le protesi tecnologiche (schermi, tastiere, tablets) – dice – costituiscono uno strumento eccellente per inibire (sic!) lo sviluppo cerebrale dei bambini e in generale tra i soggetti in età evolutiva (…) con buona pace di Dianora Bardi (la professoressa di Bergamo che ha presentato in tv la digitalizzazione dell’insegnamento del latino) e affini (…)”. Per gli studiosi di neuroscienze la diffusione degli strumenti digitali (le protesi) negli adolescenti comporterebbe un depotenziamento della memoria, della capacità di orientarsi nello spazio, della corretta percezione delle relazioni spazio-temporali, del coordinamento percettivo-motorio per un verso (sempre più spesso mi capita personalmente di osservare casi di ragazzini che non sanno leggere l’ora, se non su orologi digitali), per un altro verso un indebolimento della facoltà di pensare, di argomentare, di articolare un discorso un tantino più complesso.

Digitale vs analogico

Sembrerebbe che nella scuola si stia sviluppando una contrapposizione: digitale vs analogico, dove digitale starebbe per istruzione e analogico per educazione. Ma per fortuna si avvertono anche i prodromi di un fervente dibattito e qualcuno più aperto all’innovazione auspica che si passi dalla contrapposizione oppositiva dei due modelli a una contrapposizione dialettica, dove istruzione ed educazione possano coniugare potenzialità e risorse per dar luogo ad un nuovo patrimonio culturale e pedagogico. In altre parole un’integrazione forte di curricolo e progetto (dei quali si è tanto parlato in termini di alternativa pedagogica), una integrazione di istruzione e educazione qualificherebbe la scuola quale agenzia formativa unica nel suo genere, il cui compito primario è garantire alle nuove generazioni l’accesso a quella “società della conoscenza“ (delineata dal Libro Bianco della Commissione Europea, sul finire del decennio scorso), che non a caso poneva tra gli obiettivi da raggiungere prioritariamente la lotta all’emarginazione e lo sviluppo personale di tutti i cittadini. Se il rapporto istruzione-educazione acquisterà rilevanza nel dibattito odierno sulla scuola, si renderà giustizia al dettato pedagogico di Pestalozzi che auspicava per le giovani generazioni “l’educazione della mente, della mano e del cuore”, per approdare attraverso un percorso di crescita umana e intellettuale alla libertà interiore e realizzare così la vera essenza dell’uomo.

Nicola Corrado

Per approfondimenti: https://www.futuroquotidiano.com/istruire-o-educare/

http://www.rivistadidattica.com/pedagogia/pedagogia_45.htm

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