Il destino dei ragazzi ormai grandi che escono dal sistema scolastico è sintetizzabile con una parola: dissolvenza. Oltre l’età scolastica, gli adulti Down e autistici scompaiono nelle loro case, con ridottissime opportunità di inserimento sociale e di esercizio del loro diritto alle pari opportunità. Nel mondo del lavoro l’inclusione è pressoché inesistente. Ha un lavoro solo il 31,4% delle persone Down over 24 anni. E la maggioranza di quelli che lavorano (oltre il 60%) non è comunque inquadrata con contratti di lavoro standard. Nella maggior parte dei casi lavorano in cooperative sociali, spesso senza un vero e proprio contratto. In oltre il 70% dei casi non ricevono nessun compenso o ne percepiscono uno minimo, comunque inferiore alla normale retribuzione per il lavoro che svolgono. Ancora più grave è la situazione per le persone autistiche: a lavorare è solo il 10% degli over 20.
La delega alla famiglia: dalle istituzioni soprattutto soldi, ma meno che nel resto d’Europa (e meno del 6% in servizi). I disabili adulti rimangono in carico alla responsabilità delle loro famiglie, con sostegni istituzionali limitati, focalizzati quasi esclusivamente sul supporto economico. Anche in questo caso, però, dal confronto con gli altri Paesi europei emerge che la spesa per le prestazioni di protezione sociale per la disabilità, cash e in natura, è pari a 437 euro pro-capite all’anno, superiore solo al dato della Spagna (404 euro) e molto inferiore alla media europea di 535 euro (il 18,3% in meno). Colpisce quanto poco sviluppata sia la spesa per i servizi in natura, che rappresenta solo il 5,8% del totale, cioè 25 euro pro-capite annui, meno di un quinto della media europea e inferiore anche al dato della Spagna. Le opportunità di accesso ai servizi si riducono per i disabili adulti. Tra le persone Down di 25 anni e oltre, il 32,9% frequenta un centro diurno, ma il 24,3% non fa nulla, sta a casa. Tra le persone con autismo dai 21 anni in su, il 50% frequenta un centro diurno, ma il 21,7% non svolge nessuna attività. Tra le ore dedicate all’assistenza diretta e quelle di semplice sorveglianza, i genitori delle persone autistiche e delle persone Down spendono complessivamente 17 ore al giorno. La valorizzazione economica di questo tempo (equiparando le ore di assistenza a quelle retribuite con il minimo tabellare di un assistente sanitario e quelle di sorveglianza al compenso di un collaboratore domestico) arriva a una cifra annua davvero consistente: circa 44.000 euro per famiglia nel caso delle persone Down e circa 51.000 euro per le persone affette da disturbi dello spettro autistico. La portata dell’impegno familiare nella gestione assistenziale delle disabilità emerge con crudezza da questi dati, soprattutto se si pensa al valore contenuto del Fondo per la non autosufficienza da poco rifinanziato, che ammonta per il 2014 a soli 340 milioni di euro ripartititi tra le Regioni per sviluppare i servizi integrati socio-assistenziali e sanitari e la domiciliarità.
Il «dopo di noi»: quale futuro senza le famiglie? Nel tempo aumenta il senso di abbandono delle famiglie e cresce la quota di quelle che lamentano di non poter contare sull’aiuto di nessuno pensando alla prospettiva di vita futura dei propri figli disabili. Mentre tra i genitori di bambini e ragazzi Down fino a 15 anni la quota di genitori che pensa a un «dopo di noi» in cui il proprio figlio avrà una vita autonoma o semi-autonoma varia tra il 30% e il 40%, tra i genitori degli adulti la percentuale si riduce al 12%. La quota di genitori di bambini e adolescenti autistici che prospettano una situazione futura di autonomia anche parziale per i loro figli (23%) si riduce ancora più drasticamente (5%) tra le famiglie che hanno un figlio autistico di 21 anni e più.
Questi sono i risultati del 3° numero del «Diario della transizione» del Censis, che ha l’obiettivo di cogliere e descrivere i principali temi in agenda in un difficile anno di passaggio attraverso una serie di note di approfondimento diffuse nella primavera-estate del 2014. I numeri precedenti sono stati: «L’austerity ha stancato gli italiani: sobri sì, asceti no» (28 aprile), «Crescono le diseguaglianze sociali: il vero male che corrode l’Italia» (3 maggio).
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